Ho voluto dedicare questo numero di Capri Life a quegli artisti che rivolgono la propria ricerca all’attuazione dell’utopia del cambiamento, rivendicando per l’arte una funzione di protesta e denuncia sociale.
Questi artisti considerano l’arte come strumento di riflessione critica sulla società contemporanea, toccando temi universali come le diseguaglianze, le migrazioni, la condizione femminile, l’ambiente, nel convincimento comune che l’arte sia anche e soprattutto etica. Le loro opere mirano a suscitare reazioni e a fornire informazioni che stimolino lo spettatore ad elaborare forme autonome di riflessione sulla realtà, mantenendosi all’interno di un processo estetico per arrivare a toccare lo spazio pubblico del pensiero critico, del coinvolgimento sociale e politico.
Il modo migliore per parlare di arte come impegno sociale o attivismo politico è presentarne esempi concreti, perché non si tratta di una singola corrente o di una determinata scuola di pensiero, bensì di forme di rappresentazione estetica diverse ma con una praxis comune che ricerca costantemente il ristabilirsi del senso etico nella vita. Questo scarto tra l’agire politicamente e il fare politica di professione pone gli artisti in un ambito di indipendenza, dove l’agire etico – universalmente riconosciuto – precede le ragioni politiche particolari.
Qui di seguito una breve descrizione degli artisti selezionati, tratta dagli articoli contenuti in questa rivista.
Kimsooja, artista coreana, dopo gli studi di pittura parigini si trasferisce a New York, dove intuisce la propria “diversità”. Ripetendo l’esperienza legata alla propria infanzia nomade, il suo lavoro investiga temi contemporanei che toccano l’umanità da vicino quali migrazione, spostamento, identità, senso di appartenenza e generi. Il suo lavoro I Bottari, ad esempio, si fa portavoce sia di una specifica condizione femminile, sia assurge a icona esistenziale dello spostamento, della migrazione, del cambiamento del proprio stato – o della propria stasi – per volontà, necessità o costrizione.
Artista unico e straordinario, Alfredo Jaar non ha mai smesso di interrogarsi sul contesto sociale e politico, sulle immagini e sul loro ruolo nella società, del modo con cui i media rappresentano i fatti drammatici del mondo. Il suo motto è sempre stato lo stesso: “Non posso agire nel mondo senza capire il mondo”. Jaar affronta questioni di grande portata, testimoniando disastri umanitari e attestando l’impatto dei conflitti militari, della corruzione politica e della disuguaglianza economica in tutto il mondo. Al cuore della sua pratica c’è ciò che Jaar chiama politica delle immagini, la messa in discussione del modo in cui usiamo e consumiamo le immagini.
I temi ricorrenti nei lavori di Marisa Albanese sono la letteratura, la storia, la condizione umana, le esperienze antropologiche e sociologiche. Le sue opere si concentrano sul concetto di spostamento, inteso come condizione di cambiamento, di conoscenza, di ricerca, ma anche e soprattutto come difficoltà, fuga, situazione di precarietà ed emarginazione, in un tempo storico controllato da un sistema globale feroce e da un costante sisma esistenziale. Nell’opera Mare chiuso, ad esempio, affronta la difficile condizione delle migrazioni o nel lavoro I Giardinieri (Mahatma Gandhi, Rosa Parks, Malala Yousafzai) ci racconta con immagini la resistenza all’oppressione e i movimenti per i diritti civili.
Mona Hatoum è un’artista di origine palestinese che vive a Londra da 40 anni. Nel 1975, partita per una breve visita a Londra, si trova costretta a rimanere in Inghilterra a causa dello scoppio della guerra civile in Libano. Da quest’esperienza deriva un sentimento di dislocazione che si manifesterà poi nei suoi lavori futuri. Molte delle sue opere sono incentrate sulla denuncia delle difficoltà sociali e politiche affrontate in tutto il mondo dalle minoranze etniche, religiose e di genere, sull’oppressione della vita domestica e dei pericoli che si annidano nella più semplice quotidianità, sul significato fisico e morale delle frontiere, dell’esclusione, dei conflitti politici, delle diseguaglianze globali.
Jota Castro è un radicale interprete della nostra epoca, un indomito esploratore delle interferenze tra produzione artistica e azione politica. Affronta temi delicati come i conflitti sociali e le problematiche planetarie con sarcasmo e profondità. “Penso che oggi sia possibile tentare di spiegare qualcosa sulla nostra società usando l’arte come strumento d’indagine. L’arte è uno dei pochi spazi rimasti in cui si può parlare liberamente di questioni sociali senza alcun controllo. Per me l’artista ha un importante ruolo da giocare nella società, e questo è qualcosa di politico” (Jota Castro).
Eulalia Valldosera intende l’arte come un mezzo di trasformazione che ci avvicina a sfere sottili di conoscenza. S’inserisce così nella tradizione di artisti come Joseph Beuys o Louise Bourgeois, il cui lavoro ha avuto una chiara volontà politica di guarigione personale e collettiva. Fa parte di una linea di azione degli inizi del terzo millennio: la nuova “mistica attivista” che concepisce l’arte come motore di trasformazione spirituale, che è anche trasformazione materiale, sociale, politica.
La ricerca di Edward Burtynsky documenta la trasformazione del paesaggio in favore del progresso: discariche, cave, miniere e cimiteri di navi, realtà prive di una connotazione umana, enormi cumuli di rifiuti tossici, dentro paesaggi completamente sconvolti dalla mano terribile dell’uomo. Nel raccontare gli infiniti e tristissimi paesaggi manifatturieri, il processo di trasformazione del petrolio che contamina la crescita della natura e i vividi paesaggi che testimoniano quanto il bene primario dell’acqua non sia più una fonte inesauribile, ogni osservatore viene messo in condizione di porsi domande concrete riguardo al suo impegno attivo nel mondo.
Il fil rouge che unisce i lavori dello Studio Formafantasma, è l’analisi innovativa ed alternativa sui materiali, esplorando il rapporto tra tradizione e cultura locale e lavorando meticolosamente al processo. Portavoci di una responsabilità etica ed ecologica del design, per Andrea e Simone “non c’è più l’urgenza di produrre come si faceva una volta”, anzi “è criminale, vuol dire sostanzialmente riempire il mondo di ulteriori prodotti”. Il loro obiettivo “non è produrre nuove cose ma cercare di capire come spingere un po’ più in là la riflessione sugli oggetti”.
Fabio Viale crea straordinari trompe l’oeil, in cui il marmo di Carrara, suo materiale prediletto, può prendere le sembianze di una gomma di un’automobile, di una cassetta di legno o di un busto tatuato, rivestendosi di nuovi significati. L’artista ha anche affrontato grandi temi di carattere politico, come quello dei migranti, misurandosi con uno tra i più straordinari capolavori scultorei, la Pietà di Michelangelo. Nella versione di Viale, il Cristo è sottratto al dolore della madre perché sostituito da una figura profana, Lucky Hei, profugo nigeriano, che a differenza del Cristo morto è ancora qui che sopravvive.
I wanted to dedicate this issue of Capri Life to those artists who address their research to the realization of the utopia of change, reclaiming for art a purpose of protest and social denunciation.
These artists see art as a tool for critical reflection on contemporary society, addressing universal topics such as inequalities, migrations, the female condition, environment, in the shared belief that art is also, and above all, ethics. Their works want to incite reactions and provide information stimulating the observer in elaborating autonomous forms of reflection on reality, remaining within an esthetic process to touch the public space of critical thought, social and politic involvement.
The best way to talk about art as social commitment or political activism is providing concrete examples, because we are not talking about a single current or a precise school of thought, but of different forms of aesthetic representation with a common praxis, constantly researching the restoration of the ethical sense in life. This deviation between political action and politics as a profession puts the artists in an independent setting, where ethical action – universally recognized – precedes every political reason.
Below is a brief description of the featured artists, taken from the articles inside the magazine.
Kimsooja, Korean artist, after her painting studies in Paris, moves to New York, where she realizes her “diversity”. Repeating the experience of her own nomad childhood, her works investigate contemporary subjects dealing up-close with mankind such as, migration, relocation, identity, sense of belonging and genders. Her work I Bottari, for example, is a mouthpiece both of a specific female condition, and is an existential icon of displacement, migration, changing of your own state – or your own stasis – by will, need or constriction.
A unique and extraordinary artist, Alfredo Jaar never stopped questioning the social and political context, the images and their role in society, the way in which media represent the dramatic events happening in the world. His motto has always been the same: “I cannot act in the world before understanding the world”. Jaar tackles important issues, showing humanitarian disasters and attesting the impact of military conflicts, political corruption and economic inequality in the entire world. At the core of his practice there is what Jaar calls politics of images, questioning the way we use and consume images.
The recurring themes in Marisa Albanese’s works are literature, history, human conditions, the anthropologic and sociologic experiences. Her works focus on the concept of displacement, meant as a condition of change, knowledge, research, but also and above all as obstacle, escape, a situation of precarity and exclusion, during an historic time controlled by a ferocious global system and by a constant existential earthquake. In Mare Chiuso, for example, she faces the difficult condition of migrations, and in Giardinieri (Mahatma Gandhi, Rosa Parks, Malala Yousafzai) she narrates with images the resistance against oppression, the movements for civil rights.
Mona Hatoum is an artist of Palestinian origins who has been living in London for 40 years. In 1975, while in London for a brief visit, she is forced to remain in England because of the outbreak of the civil war in Lebanon. Because of this experience, a feeling of dislocation was born in her, that she would later convey in her future works. Many of her works are focused on the denunciation of the social and political difficulties faced in the whole world by ethnic, religious and gender minorities, on the oppression of domestic life and the dangers that lurk in the simples everyday life, on the physical and moral meaning of borders, exclusion, political conflicts, global inequalities.
Jota Castro is a radical interpreter of our times, an indomitable explorer of the interferences between artistic production and political action. He tackles delicate subjects such as social conflicts and worldwide problematics with sarcasm and depth. “I believe that today it is possible to try to explain something about our society using art as a research tool. Art is one of the few spaces where we can still talk openly about social subjects without any censorship. For me, the artist has an important role to play in society and this is something political” (Jota Castro).
Eulalia Valldosera sees art as a tool for transformation that keeps us closer to thin spheres of knowledge. She thus integrates in the tradition of artists such as Joseph Beuys or Louise Bourgeois, whose works had a clear political intent of personal and collective healing. She is part of a line of action of the beginning of the third millennium: the new “mystical activists”, conceiving art as the driving force for spiritual transformation, that is also a material, social, political transformation.
Edward Burtynsky’s research documents the transformation of the landscape in favor of progress: junkyards, quarries, mines and ship graveyards, realities void of any human connotation, enormous piles of toxic wastes, inside environments completely overturned by the terrible hand of Man. In describing the endless and melancholic manufacturing landscapes, the process of transformation of oil contaminating the growth of nature and the colorful landscapes, a testament of how the primary good of water is not an endless resource anymore, every observer is put in a position to ask themselves tangible questions regarding their active participation in the world.
The fil rouge connecting the works by Studio Formafantasma is the innovative and alternative analysis on the materials, exploring the relationship between tradition and local culture, and meticulously working on this process. Spokesmen for an ethic and ecologic responsibility of design, according to Andrea and Simone “there is no more the urgency of production as there was before”, on the contrary “it is criminal, it basically means filling the world with even more products”. Their goal “is not producing new things but trying to understand how we can push forward the reflection on objects”.
Fabio Viale creates extraordinary trompe-l’oeil where the Carrara marble, his favorite material, can take the shape of a car tire, a wooden crate or a tattooed bust, covered with new meanings. The artist has also touched contemporary political issues, such as migrations, competing with one of the most extraordinary sculptural masterpieces, Michelangelo’s Pietà. In Viale’s version, the Christ is subtracted from the mother’s pain, because he is replaced with a profane figure, Lucky Hei, a Nigerian refugee who, as opposed to the dead Christ, he is still here surviving.
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