di Massimo Latte
All’inizio è sempre il caos: caos delle cose e delle idee, degli strumenti e dei progetti, dei materiali e delle possibilità… Poi vi è come uno slancio, animato da un insaziabile desiderio di mantenere viva la sorpresa, da una naturale disposizione ad accogliere e far durare la meraviglia, a creare un nuovo, imprevedibile alfabeto, a ricreare il mondo. Nel corso degli eventi e degli anni, mi è parso necessario procedere per riduzione e assolutamente indispensabile aderire all’idea di limitare il campo d’azione alla sola pittura. Impormi un limite è stata una maniera per concentrare le forze, convogliare le energie, mirare all’essenziale.
Già verso la fine degli anni Ottanta, inizio un percorso di riduzione al minimo essenziale degli elementi della pittura. La scelta di un unico colore per volta, di un unico tratto. L’uso del colore e del gesto come materiali in sé, senza nient’altro. Il colore è trattato come materia pura e il gesto pittorico è agito come segno puro, primordiale, sottratto alla tirannia della rappresentazione e alla stretta morsa del significato. Gesto di puro piacere, a-significante, una chimica delle passioni.
L’incontro con un materiale è sempre una chimica delle passioni, una doppia cattura. Dalla preparazione del colore, del supporto, agli utensili, spatole, pennelli. È come se a un tratto, un’attrazione reciproca, magnetica, facesse del mio corpo un prolungamento della natura, uno strumento del suo perpetuo processo di trasformazione.
E (…) la rappresentazione dell’universale che irrompe nella materia organica accade nelle pennellate (…) con l’irrevocabilità di un fremito improvvisamente ridotto a traccia. (Luigi Trucillo)
È un istante sublime e transitorio, aleatorio, inatteso anche se lungamente preparato; è un attimo che va ad aggiungersi, come naturale continuazione e crescita, ai milioni di anni che tale o tal altro minerale/pigmento ha impiegato per formarsi, senza fermarsi neppure quando lo preparo e poi lo stendo sulla carta o sulla tela.
Prova tangibile che (…) l’immaginazione non è che uno dei prolungamenti concepibili della materia. (Roger Caillois)
Le serie più recenti, iniziate già nel 2013, Passaggi minerali e Paesaggi d’istanti, sono tutte realizzate con pigmenti puri, per lo più di origine minerale, lapiszlazuli, vivianite, kyanite, thuilite, porfido, ardesia, malachite…, non con l’intenzione di imitarne o riprodurne l’aspetto originario, bensì di avvicinarmi il più possibile a quella condizione poietica naturale, a quel “fare” geologico invisibile, attraverso un processo di metamorfosi, di indicibile depersonalizzazione – uno stato di mistica, direbbe Roger Caillois, autore da me amatissimo e a chi, tra gli altri, ho voluto dedicare l’esposizione Mistica della materia, al Real Museo Mineralogico di Napoli nel 2017.
Pratico la pittura come una filosofia in atto, una meditazione dinamica, dove sperimento la perdita del confine e dove il segno a volte si dilata e si espande, a volte si contrae e si riduce, a volte lascia una traccia del suo passaggio come linea, tratto, arabesco, scrittura; altre volte il suo passaggio si espande oltre il limite, aldilà del bordo del supporto, che non lo contiene più, e diventa campitura, distesa di colore. Lavoro sulla serialità. Ripetizione e differenza. Variazioni quasi musicali su uno stesso tema. Come nelle incantevoli composizioni delle Follie.
Mi è sempre parso superfluo dare un titolo a una pittura, preferendo lasciare a ciascuno la libertà di immaginarlo; più volentieri do un titolo ad una serie. Il titolo è il più delle volte sostituito dalla data di esecuzione, come in un Diario di immagini.
Dal macrocosmo al microcosmo, le pitture recenti, la serie dei collages, Paesaggi d’istanti, o quella delle carte, Passaggi minerali, sono ispirate tanto a paesaggi reali, colossali – penso alla potenza inebriante delle coste vulcaniche delle Isole Eolie, in particolare Salina, alla massa sconvolgente di magma pietrificatosi a contatto con l’acqua, alle striature e ai segni lasciati dall’erosione, a quell’alfabeto indecifrabile di pietra e di luce, di un tempo senza tempo, di un’incalcolabile immensità geologica -, quanto a quelli più intimi, microscopici – come i Gongshi, o le cosiddette pierres de rêve, o ancora le toscane pietre paesine, veri e propri mondi in miniatura -. Come il Calamaio-Montagna di Mi Fu: una particella di polvere, in cui si trovava offerto un mondo.
I Passaggi minerali sono stesure di colore, accadono come un respiro, il respiro della materia. In un istante, un battito. Il battito della materia. Un va e vieni perpetuo e ripetitivo eppure mai identico a se stesso, variazioni infinite a cui non si può aggiungere nulla perché non si raggiunge mai davvero la “cosa”.
I Paesaggi d’istanti sono l’evidenza di una volontà di trasformazione del tempo in spazio e al tempo stesso la negazione della volontà. Una sorta di geografie temporali. Un procedere affidando l’atto del fare e disfare la pittura al rigore, al caso e al tempo, perché strappare e infine ricomporre i frammenti è come del magma che si pietrifica.
Strappare è un atto di ribellione e violenza, un gesto liberatorio. Ha qualcosa di vulcanico. Un’eruzione che dissemina tutt’intorno una moltitudine di frammenti dai contorni più svariati. Lapilli, pepite, gemme. Schegge di colore. Esplodono e invadono lo spazio. In una confusione che stravolge i piani, le forme, gli elementi, le identità, le intenzioni. Mi abbandono a questa perdita di controllo. Ciecamente, fiducioso nello stravolgimento. Inquieta beatitudine.
Strappare diventa un modo di di-segnare armonie invisibili. Raccolgo poi questi frammenti, come fossero fiori disseminati in un campo, pietruzze o cocci sparsi, per ricomporli, rilegarli, fissandoli nei collages, in un’intuizione istantanea, frenetica, estatica. Un gioco. Un po’come nelle porcellane riparate con la polvere d’oro dei kintsugi giapponesi, però non per ricongiungere le parti di un tutto, ma per rimescolare pezzi eterogenei e creare una forma inedita, dai limiti aperti. E ne ammiro infine, sorpreso, l’apparizione. Il silenzio.
Massimo Latte – The breath of matter
Massimo Latte
It always begins with chaos: chaos of things and ideas, of tools and projects, of materials and possibilities…Then there is as a leap, enlivened by an insatiable desire to keep the surprise alive, from a natural disposition to embrace the wonder and make it last, to create a new, unpredictable alphabet, to recreate the world. During the events of the past years, I found it necessary to proceed by reduction, and absolutely essential to adhere to the idea of limiting my field of action to painting alone. Imposing a limit on myself was a mean to focus my strength, direct my energies and aim to the essential.
Already towards the end of the 1980s, I begin a journey to reduce to the minimum essential the pictorial elements. The choice of a single color, of a single tract. The use of color and gesture as materials, with nothing else. Color is regarded as pure matter and the pictorial gesture is acted as a pure, primordial sign, stolen from the tyranny of representation and from the tight grip of meaning. A meaningless act of pure pleasure, a chemistry of passions.
The encounter with a material is always a chemistry of passions, a double capture. From the preparation of color, of the support, to the tools, spatulas, paintbrushes. It’s as if a sudden, mutual, magnetic attraction, made my body an extension of nature, a tool for its endless process of transformation.
And (…) the representation of the universal, bursting into the organic matter is realized into the brush strokes (…) with the finality of a shudder suddenly reduced into a trace. (Luigi Trucillo)
It’s a sublime and transient moment, unintentional and unexpected even if long prepared; it’s a moment that is added, as a natural continuation and growth, to the millions of years that such a mineral or pigment takes to shape, and it doesn’t stop, not even while I prepare and later spread it on paper or canvas.
Tangible evidence that (..) imagination is simply one of the conceivable extensions of matter. (Roger Caillois)
The more recent series, already started in 2013, Passaggi Minerali and Paesaggi d’istanti are all realized with pure pigments, of mainly mineral origin, lapis lazuli, vivianite, kyanite, thuilite, porphyry, slate, malachite…, not with the intention of imitating or reproducing the original appearance, but rather to draw as near as possible to that natural poietic condition, to that invisible geological “doing”, through a process of metamorphosis, of inexpressible depersonalization – a state of mysticism, as Roger Caillois would call it, an author I appreciate very much, and to whom, among others, I wanted to dedicated the 2017 exposition Mistica della materia at the Royal Museum of Mineralogy of Naples.
I practice painting as a philosophy of doing, a dynamic meditation, where I experience the loss of boundaries and where the sign at times grows larger and expands, at times contracts and reduces itself, at times leaves a trace of its passage as a line, stroke, arabesque, writing: other times its passages extends outside the border, beyond the side of the support that can’t hold it anymore, and becomes painted background, an expanse of colors. I work on seriality. Repetition and diversity. Nearly musical variations on the same subject. Just like in the enchanting compositions of Follie.
I always found naming a painting unnecessary, and I preferer leaving everyone the freedom to imagine the title; I more gladly name a series. The title is, most of the time, replaced by the date of execution, such as in Diario di immagini.
From macrocosm to microcosm, the recent paintings, the collages series, Paesaggi d’istanti, or the paper series, Passaggi minerali, are inspired from real, colossal landscapes – such as the intoxicating force of the volcanic shores of the Aeolian Islands, particularly Salina, the upsetting magma mass that petrified in water, the stripes and marks left by the erosion, the indecipherable alphabet of rocks and light, a timeless time, an immeasurable geologic vastness – and by intimate, minuscule spaces – such as the Gonshi, or the so-called pierres de revês, or the pietre paesine of Tuscany, real miniature worlds – such as Mi Fu’s Inkpot-Mountain: a grain of dust, where you find. offered, a world.
Passaggi Minerali are coats of colors, they happen like a breath, the breath of matter. In a moment, a beat. The beat of matter. An endless and repetitive coming and going, that is nevertheless never identical to itself, infinite variations where you can never add anything, because you never truly reach the “thing”.
Paesaggi d’istanti is the proof of the will of transformation of time into space, and at the same the denial of will. A sort of temporal geographies. A progress entrusted to the act of doing and undoing painting according to rigor, chance and time, because destroying and then recomposing the fragments is like the petrifying magma.
Ripping is an act of violence and rebellion, a liberating gesture. It has something volcanic. An eruption that scatters a multitude of fragments all around, each with varied outlines. Lapilli, nuggets, gems. Slivers of colors. They explode and invade the space. In a confusion that revolutionizes plans, forms, elements, identities, intentions. I get lost into this absence of control. Blindly, confident in this distortion. Restless bliss.
Ripping becomes a way to de-mark invisible harmonies. I then collect these fragments, as if they were flowers scattered in a field, pebbles or shards, to recompose and bind them, fixing them in collages, in an immediate, hectic and ecstatic intuition. A game. A little like with the porcelains repaired with gold dust in the Japanese kintsugi, not to the reconnect the parts into the whole, but to blend the heterogenous pieces to create a new form, with open boundaries. And, surprised, I admire this apparition. The silence.
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